Intervista a Fabio Santa Maria, autore di Versetti ironici contro l’ansia
di Luca Mantovanelli
Uno degli episodi che mi ha colpito di più, è Chi me lo ha fatto fare?, dove si sottolinea l’importanza dell’azione come antidoto all’eccesso di pensieri che possono travolgere l’ansioso.
Lasciarsi travolgere dai pensieri è un vero disastro e, in effetti, sono sempre alla ricerca di espedienti che riescano ad arginarli. Però, con l’esperienza ho capito che è impossibile, soprattutto se ti ci intestardisci. Se qualcuno ti dice: “prova a non pensare alle pere. Puoi pensare a qualunque cosa, ma non alle pere” finirai per pensarci continuamente, vedrai pere giorno e notte, arriverai a sognarle. Quindi la strategia si basa sulla distrazione, sul fattore sorpresa, sul metterti nelle condizioni meno favorevoli per precipitare nel gorgo dei pensieri. Se ridi, per esempio, è più difficile concentrarsi, seguire le diverse associazioni che, ciniche, ti guidano verso l’ansia. Ma anche se scrivi, se dipingi, se cucini, se scarichi un camion di libri. Quella volta ero a corto di strategie ed era pure domenica. Così, quando, dalla finestra, ho visto un tale che scaricava dei pacchi da un furgone mi sono detto: o adesso o mai più! E mi sono precipitato di sotto offrendomi di aiutarlo. Durante il lavoro mi immaginavo che i pacchi contenessero proprio le copie del mio libro dei versetti ironici contro l’ansia che, allora, era ancora un manoscritto. È stata una faticaccia e spesso, nel muovermi dal furgone alla portineria con questi pacchi pesantissimi, cercavo di pensare a qualche espediente per andarmene e abbandonare l’impresa. Ma alla fine abbiamo scaricato tutto e l’ansia, per quel giorno, si è completamente dimenticata di farmi visita.
Un altro passaggio significativo è la risposta molto gustosa e ‘nutriente’ che il protagonista dà, a posteriori, all’affermazione di Daniel Defoe. Mi ha fatto pensare ad Albert Ellis e alla sua Terapia comportamentale razionale-emotiva. Questa si basa sull’assunto che un conto sono i fenomeni, e un conto è il nostro personale modo di reagire ai fenomeni.
Devo premettere che amo molto Daniel Defoe e il suo Robinson Crusoe, ed è doveroso, visto che nel versetto ironico “Laddove si ipotizza l’assenza dell’ansia”, a cui fa riferimento la domanda, lo prendo un po’ in giro. Il fatto è che stavo cercando in rete un aforisma sull’ansia per il libro e m’imbattevo sempre nel suo. “La paura del pericolo è diecimila volte più spaventosa del pericolo vero e proprio, quando si presenta di fatto davanti ai nostri occhi; e l’ansia è una tortura molto più grave da sopportare che non la sventura stessa per la quale stiamo in ansia.” Un aforisma che incontravo ovunque, anche nei gruppi di auto aiuto dedicati all’ansia, trattato come una perla di saggezza. Intendiamoci, è un fatto sacrosanto, inattaccabile, ma forse un po’ troppo ovvio, soprattutto per chi, con l’ansia, ci convive. Così ne ho approfittato per rivalutare l’ansia cercando di cogliere alcuni aspetti meno considerati. Ad esempio il fatto che la cerchiamo continuamente nei gialli, nei thriller, negli horror, nei film distopici… L’ansia fa male, ma è anche attraente, necessaria, il sale della vita. Il nostro modo di reagire è fondamentale, ma anche come viene percepita a livello collettivo è un fattore determinante.
In definitiva, cosa ha portato secondo lei le società negli ultimi decenni a diventare delle società sempre più ansiose? La competitività combattuta con le unghie e coi denti è tra i fattori più rilevanti senz’altro…
La competitività è senza dubbio un fattore scatenante. Ma a mio parere c’è anche una sorta di consapevolezza nei riguardi dello sfacelo che abbiamo combinato. Tutti e tutte, a livello interiore, siamo consapevoli della parabola discendente che caratterizza l’esperienza umana su questo pianeta. Siamo sull’orlo dell’estinzione e come ovvia conseguenza ci viene un attacco di panico, è il minimo. E poi ci sentiamo in colpa perché la responsabilità è nostra. Del nostro modo di vivere, di produrre, di consumare, di ridurre tutto a merce e questo crea un’ansia generalizzata. Perché? Perché non vediamo una via d’uscita. La definizione di essere umano come “animale superiore” scricchiola ormai da ogni angolo, ma non sappiamo come uscirne. E anche a questo proposito l’ironia potrebbe aiutare molto. Infatti, prendere in giro questo Homo Sapiens così sapiente da distruggere la sua stessa casa, potrebbe essere certamente un buon inizio.
C’è da qualche parte nel mondo per caso una società o un modello di vita reale, effettivamente esistente, che lei non considera ansiogeno ma anzi benefico?
Conosco solo situazioni temporanee e molto limitate, situazioni che hanno provato, su piccolissima scala, a praticare modelli differenti. E comunque, ciò che funziona per piccoli gruppi non è detto che sia proponibile a livello collettivo. Oggi, più che altro, vedo nella finzione, nello scatenarsi delle idee e delle prospettive anche ‘incredibili’, una buona opportunità. Ad esempio nella letteratura “solarpunk” che prospetta scenari apocalittici, ma, a differenza di quella cyberpunk e distopica, sono contornati da soluzioni ed espedienti di ecologia profonda e tecnologie verdi che consentono la sopravvivenza. In effetti, oggi, uno dei problemi essenziali è proprio la nostra incapacità di immaginare e, senza immaginazione, non si possono risolvere i problemi, neppure i più banali. Credo che una concreta liberazione, e quindi una società benefica e non più ansiogena, passi inevitabilmente dallo stravolgimento del nostro immaginario. Più che al vecchio slogan Fatti e non parole! mi affido molto volentieri al più recente Fiction is action!
A proposito di biblioterapia, e non solo di scrittura-terapia, per concludere, mi racconti tutto di questo progetto davvero meritorio, Libri e letture vagabonde, di cui lei è uno degli ideatori.
Libri e letture vagabonde è la nostra risposta all’emergenza culturale che stiamo vivendo in prima persona da quando ci siamo trasferiti in Sicilia. Ricordo ancora i primi tempi, quando, insieme alla mia compagna, cercavamo senza successo su Google la libreria più vicina. Ci sembrava impossibile che città di dieci, venti mila abitanti non ne avessero neppure una. Così abbiamo cominciato a regalarli. Ora ci arrivano donazioni da tutta Italia e, soprattutto grazie al contributo in libri di Book Cycle (un’associazione internazionale che regala libri in tutto il mondo e che ha aperto la prima libreria a offerta libera in un quartiere popolare romano), siamo riusciti a far circolare migliaia e migliaia di libri usati nelle case della gente. All’inizio organizzavamo piccoli eventi culturali e allestivamo un banchetto dove la gente poteva prendere tutti i libri che voleva. Poi, con la pandemia, abbiamo dovuto cambiare strategia: ci siamo infiltrati nelle panetterie con tavolini pieni di volumi usati, cibo per la mente che lasciavamo sul posto e si poteva prelevare senza alcuna condizione. Poi è stata la volta dei luoghi di lavoro, dei bar, delle sedi sindacali, dei supermercati, dei festival… Le nostre iniziative hanno sempre una durata specifica, non abbandoniamo mai i libri, alla fine, quelli che non sono stati scelti, saranno utili per le prossime occasioni. Oggi, nella nostra zona, siamo abbastanza conosciuti e, in alcune occasioni, ci invitano a portare i libri alla gente.
È un’ottima iniziativa. Sia per chi li dà, sia per chi li prende.
Ci sono molte persone che si devono disfare dei loro vecchi libri e ce ne sono moltissime che hanno difficoltà ad avere accesso alla lettura. Rimettere in circolazione i libri, secondo noi, è fondamentale, una pratica indispensabile per arginare il degrado, per sperare in società più evolute. L’idea è quella di rendere il libro un oggetto di uso quotidiano, fare in modo che possa circolare nelle case liberamente e senza limiti. Regalare libri, poi, è sempre una grande emozione: incontro spesso persone entusiaste, che non riescono a credere di poter scegliere tutti i libri che desiderano, senza condizioni.
Un banco di libri usati e gratuiti è una calamita che attrae persone di ogni tipo: dai bambini alle anziane, dagli stranieri alle casalinghe, dalle intellettuali agli autodidatti; ogni libro ha il suo lettore e abbiamo felicemente abbandonato l’idea di giudicare le letture degli altri, ma anche la vecchia idea dei libri di serie A e di serie B. Sì, leggere è decisamente terapeutico, ma lo è anche regalare libri!
Luca Mantovanelli