Intervista a Fabio Santa Maria, autore di “Versetti ironici contro l’ansia”
di Luca Mantovanelli
Fabio Santa Maria, personaggio eclettico, dalle molte passioni e dalla mente fervida, originario di Milano poi passato in Sicilia, dopo alcune esperienze di scrittura sotto vari pseudonimi, è approdato al suo primo libro di narrativa, pubblicato per Incipit23. Una riflessione sull’ansia ̶ quindi uno scritto destinato a incuriosire davvero tanti di noi ̶ affrontata con molto ritmo in chiave satirica, umoristica, surreale, ma anche, a ben guardare, ‘filosofica’ (non è un caso se la Collana scelta si chiama Pamphlet!).
Non una visione uniforme e ‘sistematica’ dell’ansia, si badi bene, ma capace di regalare molteplici prospettive, offrendo al lettore spunti diversificati e profondi di riflessione.
Il libro, dalla verve istrionica dirompente, parla principalmente della quotidianità di tutti noi. Parla di quegli ambienti, di quelle situazioni, e di quelle tipologie di persone che tipicamente innescano il meccanismo dell’ansia, dell’imbarazzo, della soggezione.
L’alienazione drammatica della nostra fase storica che possiamo avvertire in noi stessi si sposa con le situazioni esilaranti; l’insensatezza della paura (in molti casi è così) di cui l’autore ci invita ad accorgerci si sposa con le atmosfere surreali di cui è intessuto il libro.
Anche il termine “versetto” va inteso non in senso tecnico, ma in chiave giocosa e ‘surreale’: un riferimento alla Bibbia, e al contempo vuole richiamare il senso del “fare il verso” all’ansia, che viene dall’autore più volte personificata e trattata da vero e proprio interlocutore.
Tutto nasce, come lei rivela ̶ e Versetti ironici contro l’ansia è peraltro scritto in prima persona ̶ dall’esortazione vera da parte di un amico specialista psicologo vero, di tenere un diario personale, facendo leva sull’oramai acclarato valore terapeutico della scrittura. Poi da lì, diario dopo diario, è arrivata la sua intuizione-volontà di concentrarsi sul tema dell’ansia, per un pubblico di lettori. Qual è una cosa che ‘a monte’ l’ha sorpresa nel seguire questo suggerimento legato alla scrittura, nella fase in cui si era messo a scrivere solo per sé stesso?
La sorpresa è stata senz’altro quella di scoprire ̶ visto che prima di cominciare questo diario ho pensato di documentarmi ̶ quanto l’ansia fosse diffusa. Là fuori c’era un sacco di gente che si sentiva come me, che provava i miei stessi disagi. Elencarli giorno dopo giorno, allora, mi sembrava qualcosa di inutile e ripetitivo. Qualcosa che avevo vissuto e analizzato fino alla noia. Così, proprio mentre scrivevo, questo fatto pesava, mi metteva l’ansia. Ma volevo assolutamente andare avanti e allora ho pensato di dare un taglio differente. Mi immaginavo che cosa avrebbe pensato una persona ansiosa nel leggere che io, con l’ansia, ci parlavo ad alta voce. Nel leggere che tentavo di soffocarla con un cuscino, oppure che utilizzavo improbabili tecniche antiansia come la giocoleria o la meditazione della risata. La cosa ha cominciato a divertirmi, era come se l’ansia perdesse parte del suo potere.
Come se l’ansia perdesse il suo potere?
Sì. Come se potessi finalmente affermare ad alta voce che il re è nudo. Questo non significa certo sminuire i disagi che comporta. Più che altro è una sorta di rivincita, un modo per affermare che anche chi, in genere, la subisce come una tegola sulla testa, ha la possibilità di reagire. Se puoi ironizzare sulla tua situazione, significa che sei ancora vivo. Significa che hai voce in capitolo, che puoi cambiare le carte in tavola.
Gli episodi che compongono il suo libro sono a lieto fine, lo stato d’animo di partenza cambia per così dire di colorazione, alla fine ogni volta le nubi si dissolvono in modo tranquillizzante. E anche il suo personaggio è un ansioso a ben guardare tutto sommato capace di parlare con le persone. È ‘relativamente’ fortunato con le donne, viene assunto a un posto di lavoro. Nel ‘famigerato’ luogo pubblico della ‘famigerata’ macchinetta del caffè pensa “ai pettegolezzi, ai tradimenti, alle spiate” e al nocivo effetto ansiogeno del caffè. Ma viene risparmiato da altre sensazioni negative che classicamente scaturiscono in quel luogo.
Il lieto fine che propongo è una sorta di bluff vincente. Secondo me non esistono delle vere e proprie strategie che consentono di superare l’ansia. Di sconfiggerla per tornare ad essere “normale”, un termine che fa ridere già di suo. Non sono tra quelli che dichiarano guerra all’ansia, che la combattono cercando di annientarla. L’ironia, ma soprattutto l’auto ironia, però, consentono di osservare le situazioni da altri punti di vista, di raccontare una storia differente che aiuta ad accettarsi, che cambia l’ambientazione, i colori, gli umori.
Sì, il personaggio ansioso che propongo, in un modo o nell’altro e tra mille difficoltà e peripezie, riesce a vivere la sua vita. Cerca anche di prendersi le sue rivincite nei confronti di un mondo di persone “non ansiose” che non riescono a comprenderlo. Che lo sommergono di luoghi comuni insistendo a dirgli che, tanto, “basta un bel respiro e passa tutto”. A volte, la sua ironia è anche un po’ amara perché riconosce quanto, dal dolore, non si possa scappare più di tanto. Questo perché è parte integrante della vita quotidiana. Però c’è sempre questa luce accesa che è il sorriso. Ovvero, un’opportunità così grande che non possiamo e non dobbiamo mancare in alcun modo.
Magari mimetizzato tra le varie situazioni di vita ̶ è proprio il caso di dire ̶ da manuale che lei enumera in questo libro (scelta questa che porta in modo naturale il lettore a immedesimarsi nei singoli episodi), c’è un ricordo suo personale, un aspetto autobiografico che ha sentito più di altri l’urgenza di ‘immortalare’ con la scrittura?
Ci sono diversi versetti ironici dedicati ai ricordi dell’infanzia. Ad esempio la mia prima notte ansiosa e insonne che trascorsi aspettando Babbo Natale. Una notte memorabile, visto che trangugiai il tazzone di caffè a lui destinato. Ma il più significativo è certamente quello relativo alla mia ipocondria e alla frase che la mia compagna di una vita mi ripete… da una vita! “Non hai niente!”. Una frase che è diventata una canzone, uno slogan, una poesia, una filastrocca, una cantilena, un intercalare che assume diversi significati in relazione all’intonazione o al numero di ripetizioni a cui ricorre.
Ridiamo spesso di questa frase e a volte sono io a pronunciarla, ancor prima di confidarle l’ultimo sintomo che è in procinto di uccidermi. “Non hai niente!” è anche il titolo del versetto ironico che preferisco. È quello che ritengo più potente, perché è relativo all’amore e alle sue immense potenzialità antiansia. Perché amare significa anche e soprattutto affidarsi e credere in un’altra persona. Ma anche dedicarsi a lei fin quasi a dimenticare sé stessi e le proprie ansie. Amare, poi, consente, in un certo senso, di uscire dal corpo, di espandersi, di sperimentare altri livelli di coscienza.
Insomma, amare nel bene e nel male.
Esatto. All’amore ho dedicato anche un altro versetto ironico “Perdutamente ansioso di te” perché l’ansia, in presenza dell’amore, rimodella i suoi contorni, si lascia penetrare dalla luce, si trasforma in un esaltante caos di emozioni estreme, va a finire che non ci capisci più niente.
Non è poi neppure detto che l’amore debba manifestarsi nei confronti di una persona, può accadere di amare un animale, una città, un’attività… Ciò che conta è la sua capacità di farci sperimentare una sorta di espansione che ci permette di guardare dall’alto le piccolezze della nostra ansia.