Intervista a Fabio Santa Maria, autore di “Versetti ironici contro l’ansia”
di Luca Mantovanelli
Queste sue riflessioni sull’ansia toccano, sfiorano di continuo (ora in modo più evidente, ora in modo più implicito) il tema del cambiamento, dell’evoluzione personale. Quand’è che secondo lei nella vita di una persona può avvenire per davvero un mutamento, al di là della potente arma dell’autoironia? Lei nella vita reale è fra quelli che credono nella forza di volontà, o esperienza dopo esperienza si è dato delle risposte differenti?
Io credo soprattutto nel coraggio di buttarsi nella vita, di lasciarsene letteralmente travolgere, anche con un po’ di incoscienza, perché è solo così che si riesce a cambiare e a crescere. Esattamente l’opposto di quello che succede ad una persona ansiosa, che in realtà parrebbe desiderare una vita tranquilla, visto che, in genere, sono proprio i cambiamenti a creare stress e ansia. In poche parole, si tratta di uscire dalla propria comfort zone. Però non penso che sia indispensabile una particolare forza di volontà per riuscirci.
La vita chiama in continuazione e nei modi più diversi, a volte è persino difficile resisterle. Il momento del mutamento è quando riesco a dire di sì, quando, nonostante l’ansia che frena, riesco comunque a dire di sì. In uno dei versetti ironici, dico di sì ad un tale che, in piena notte, mentre sono parcheggiato in un vicolo, mi chiede di abbassare il finestrino perché ha bisogno di un euro, solo di uno “schifosissimo euro”. A volte è difficile dire di sì, superare l’istinto di rinchiudersi, di scappare, di darsi malati, ma ho sperimentato che, ogni volta, si apre un nuovo mondo ricco di sorprese.
E a proposito dell’autoironia, smonti il giocattolo per vedere come è fatto dentro, e mi dica, qual è secondo lei il meccanismo che sta alla base dell’autoironia?
Anche qui gioca tanto il cambiamento: cambiare punto di vista, presentare la realtà, anche e soprattutto a sé stessi, con inquadrature e narrazioni differenti, sorprendenti, inedite. Arrivare a qualcosa che tu stesso non ti aspetti, avere il coraggio di esporlo, di lasciartici andare. Mi piace pensare che l’ironia si presenti in modo del tutto autonomo, come dire che la battuta è sempre dietro l’angolo, noi dobbiamo solo prenderla al volo, oppure lasciarci prendere la mano, lasciarci portar via in quella sua dimensione così diversa rispetto alla realtà ordinaria.
E poi, naturalmente, la dinamica si basa essenzialmente sul non prendersi troppo sul serio, sull’essere sempre pronti a scendere dal piedistallo dei tanti ruoli che ci affibbiano gli altri o che noi stessi costruiamo. A volte penso che l’ironia sia “l’altra faccia” della realtà, sempre pronta, sempre disponibile, una dimensione alla quale possiamo accedere liberamente e in qualsiasi situazione. E la scelta è sempre nostra.
Ho letto di questo suo amore (da me condiviso) per gli animali, e so che svolge da tempo delle attività meritorie in tutta Italia a loro beneficio. Si può imparare qualcosa sull’ansia anche dagli animali?
Ho prestato opera di volontariato nei canili, ma più che altro sono impegnato a contrastare il dominio umano su tutti gli altri terrestri. Ho scritto dei libri sul tema dell’antispecismo (con lo pseudonimo Troglodita Tribe) e collaboro con una trasmissione radiofonica che si occupa di queste tematiche. In queste occasioni, però, non parlo propriamente di amore per gli animali, ma di Giustizia e di Liberazione. L’amore nei confronti degli animali lo vivo quando riesco ad avere delle vere relazioni con loro. Mi è capitato spesso durante il progetto “Abitare cento case”. Con la mia compagna, per diversi anni, ci siamo presi cura degli animali di chi doveva assentarsi da casa anche per lunghi periodi. Ci trasferivamo in diverse parti d’Italia e, in questo modo, sono riuscito ad allargare la mia cerchia di amicizie, di ogni specie! È stata un’esperienza forte che ha influito molto sul mio spirito di adattamento.
Ho imparato tantissimo dagli animali e, a proposito di ansia, mi sono accorto che, nel loro caso, è inversamente proporzionale al livello di libertà. Più un animale è libero, e meno appare ansioso. Ho conosciuto cani liberi incredibilmente equilibrati, anche nelle situazioni più complesse. E anche cani molto ansiosi, proprio perché sempre al guinzaglio, sempre rinchiusi, del tutto privi della basilare opportunità di confrontarsi con i loro simili, di emanciparsi, di prendere delle decisioni. Anche in questo non credo che siano così diversi da noi.
Uno degli aspetti che senz’altro possono stimolare la fantasia del lettore è questa tendenza da parte del protagonista di vedere l’ansia come un interlocutore, personificata. Al di là dei risvolti comici, mi ha fatto proprio pensare allo psicodramma ideato da quel gran genio che è stato Jacob Levy Moreno, pregno di questo tipo di processi e dialoghi.
Sì, parlare da solo, che è una forma di recitazione, è un fatto che mi ha sempre affascinato, sin da bambino, soprattutto dopo aver visto Harvey, quel film del 1950 diretto da Henry Koster, in cui il protagonista parla con un gigantesco e meraviglioso coniglio bianco che riesce a vedere solo lui. Lo prendono per pazzo, ma lo spettatore sa bene che non lo è, perché nel film il coniglio lo vedi, risalta nel paesaggio urbano, è pure particolarmente appariscente e simpaticissimo. Parlare con l’ansia per me, ha un valore comico e terapeutico al tempo stesso, le due strade si intrecciano fino al punto che non riesco più a distinguerle.
Sorrido di me stesso sottolineando ad alta voce gli aspetti surreali che scatenano l’ansia, ma cambio anche le carte in tavola. Per esempio, in uno dei versetti, io e l’ansia siamo costretti a cancellare le tracce e scappare insieme perché lei, per legittima difesa, ha ucciso ‘lo psic’ durante una seduta. Oppure, in un altro versetto, mi immagino di mettere l’attacco di panico sul tapis roulant del supermercato, lo sistemo tra un pacchetto di biscotti e un sacchetto di zucchine. La cassiera lo prende in mano e lo passa sullo scanner e così scopro che passa, perché, in fondo, è un prodotto come tutti gli altri, perché non dovrebbe passare?
La maggior parte dei versetti ironici sono scritti sotto forma di monologo, volevo proprio rappresentare questo flusso di coscienza tipico dell’ansioso, volevo metterlo in piazza, appunto, come un divertente psicodramma.