Ventitré

Ventitré: una logorante storia di infertilità

L’impossibilità di Ilaria di avere un figlio, nonostante alcun apparente problema fisico-organico, è il fil rouge della narrazione ed è trattato con dovizia di dettagli. Visite dispendiose, trattamenti improbabili, medici privi di empatia: la disperazione di Ilaria è tale da arrivare a provarle tutte. A trentacinque anni e con una vita che non le si cuce più addosso, Ilaria continua a lottare contro il nulla e, nel farlo, decreta la condanna dell’unica persona possibile: se stessa.

Due storie d’amore tra fiducia e tradimento

Nel vortice in cui è intrappolata e che ha minato anche il rapporto con il marito Andrea, Ilaria trova rifugio nel passato: il suo primo amore. Sono passati sedici anni e Giacomo sembra una persona diversa, capace di risvegliare la vita dentro di lei e la sua voglia di amare sé stessa e gli altri. Ilaria riemerge all’improvviso da anni di intorpidimento e di chiusura all’amore e alle gioie del quotidiano e decide di fidarsi di quell’uomo insistente e spropositatamente egocentrico. Ma sarà davvero la scelta giusta?

Medicina narrativa

Il romanzo pone, sottotraccia, una questione urgente e sempre attuale: la scarsa empatia di alcuni medici nei confronti dei pazienti. Ilaria le ha tentate tutte, trovandosi il più delle volte di fronte a medici focalizzati sempre e solo sulla sua situazione clinica e mai su quella emotiva. A tutti capita almeno una volta nella vita di ricevere da parte di un medico una visita frettolosa o distratta, vedendosi negata persino la possibilità di concludere la narrativa del proprio stato di dolore o malattia, e sono proprio queste le corde che il romanzo tocca con grandissima empatia. La lettura si trasforma, così, in un’esperienza catartica a tutto tondo, donando al lettore quella comprensione che spesso viene negata da un sistema ancora poco focalizzato sull’aspetto umano.