La traduzione oggi sembra un processo automatico che possiamo affidare a una App. Ma tradurre un testo narrativo, cioè condurlo da una lingua all’altra nel modo più onesto e rispettoso possibile, è un’opera d’artigianato, un lavoro di creazione che richiede tempo, cura e preparazione. Perché, altrimenti, da tradurre a tradire il passo è breve. Ne abbiamo parlato con Valeria Paolini, curatrice della collana ORIZZONTI e traduttrice del libro “Sposa del mare” di Eman Quotah
Presentazione Sposa del mare + Collana ORIZZONTI + crowdfunding ORIZZONTI
17 NOVEMBRE 2022 ORE 18:30
Incipit23 Bistrot Letterario, via Casoretto 42, Milano
Valeria finalmente ci siamo! Il primo libro della nuova collana editoriale di Incipit23 è nelle librerie di tutta Italia. E ora, con una copia di Sposa del mare fra le mani, dicci: com’è nata l’idea della collana ORIZZONTI?
Come nascono un po’ tutte le idee: si pensa a qualcosa che si vorrebbe e poi ci si rende conto che non c’è. E allora lo si fa. Sono appassionata da anni di letteratura postcoloniale, di femminismo, di storie LGBTQIA+, ma in Italia certe tematiche tendono a metterci un po’ ad arrivare (se arrivano). A esclusione di alcuni marchi indipendenti, che si occupano comunque perlopiù di saggistica, non c’era ancora una realtà editoriale di riferimento per il tipo di storie che volevo leggere, ovvero le narrazioni sommerse del mondo. Così, quasi due anni fa, ho proposto il progetto alla casa editrice indipendente con la quale già collaboravo: Incipit23. L’idea è piaciuta ed è nato ufficialmente il progetto ORIZZONTI.
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Perché “ORIZZONTI”?
Perché volevamo arrivare oltre ciò che era stato già fatto; oltre a tutto quello che il panorama editoriale italiano aveva già proposto. E oltre i confini identitari, di genere, etnici, e chi più ne ha più ne metta.
Con che criteri vengono scelte le opere?
La selezione tiene conto di tutti quegli elementi cardine che vanno a costruire l’identità della collana. La multiculturalità, per esempio, oppure i romanzi #ownvoices. Vogliamo che le voci portate in Italia da ORIZZONTI siano non solo inedite, ma anche dirompenti, capaci di sfidare la narrazione mainstream offrendo prospettive “altre”. In un momento storico in cui il “diverso” fa paura, è imperativo porsi la domanda: “diverso da chi?”
Parliamo di traduzione. Sposa del mare, nella sua versione originale Bride of the sea, è il sorprendente romanzo d’esordio di una splendida autrice saudita/statunitense ed è scritto in lingua inglese. Come è stato tradurre questo testo?
Come andare in guerra. [Ride] No, a parte gli scherzi e i flashback del Vietnam – perché il processo creativo è sempre un po’ traumatico e le traduzioni sono, a modo loro, una genesi – posso dire che è stata un’esperienza estremamente formativa. Come ho specificato anche nella postfazione al romanzo, pur essendo un’orientalista, le mie aree di specializzazione sono la Cina e il Giappone, non l’Arabia Saudita. Quindi la prima cosa che ho fatto è stata documentarmi. Su tutto. Avendo studiato però anche letteratura postcoloniale, ambito in cui ho poi scritto la tesi magistrale, sapevo già che approcciarsi a un testo multiculturale sarebbe stato estremamente diverso rispetto a lavorare su un testo in cui c’è una corrispondenza 1:1 tra lingua e cultura.
In Sposa del mare, nello specifico, una cosa che mi ha molto colpita è come si riesca a “sentire” nel testo fonte, ossia quello in lingua originale, l’eredità culturale araba di Quotah. L’inglese è una lingua perlopiù paratattica, ossia strutturalmente più semplice, composta di proposizioni principali coordinate. Al contrario qui mi trovavo di fronte a frasi lunghe, intricate seppur nella loro scorrevolezza. Questo mi ha fatto immediatamente capire che c’era una lingua in più in quel testo. Da lì, la sfida è diventata riuscire a mantenere questa caratteristica anche nella versione italiana, a rendere questa particolarità non solo stilistica, ma culturale: tradurre, insomma, senza tradire.
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Qual è il tuo approccio traduttivo?
La mia “Bibbia” traduttologica è L’invisibilità del traduttore di Lawrence Venuti. Senza finire troppo nei tecnicismi accademici, Venuti individua due approcci principali alla traduzione: quello “addomesticante”, che smussa la cultura d’origine in favore di quella di arrivo, e quello “estraniante”, che lascia trasparire la lingua e la cultura di provenienza. Io, però, nelle tendenze traduttive contemporanee, comincio a intravederne anche un terzo: quello “esoticizzante”. Avete mai guardato un film Ghibli adattato da Gualtiero Cannarsi? Ecco, avete capito. Se invece questo non vi dice niente, vi basti sapere che si tratta di un approccio all’opposto di quello “addomesticante”, che esagera l’alterità della cultura terza per ottenere un effetto appunto esotico.
La mia scelta, l’avrete capito, è andata sull’approccio traduttivo “estraniante”. Quello che ho cercato di fare con Sposa del mare è stato trasmettere i riferimenti culturali arabi nello stesso modo in cui sono presentati al lettore “originale” dal testo fonte. Per spiegarmi meglio: in Bride of the Sea Quotah utilizza moltissimi termini arabi nonostante la lingua in cui scrive sia l’inglese. Faccio un esempio a caso: shawerma. Non è detto che il lettore italiano sappia cosa sia [NdA: un cibo simile al kebab turco], quindi al traduttore potrebbe venire la tentazione di addomesticare il termine, sostituendolo con uno più familiare al lettore italiano (ad esempio “piadina”; oppure anche “kebab”, una parola sempre straniera ma molto più nota nella nostra cultura). C’è qualcosa di coloniale, però, in questa tentazione, o no? In quest’idea che tutte le specificità culturali non occidentali debbano essere “appianate” in traduzione. Fortunatamente oggi c’è più sensibilità al riguardo, ma una volta fare così era la norma.
A proposito di visibilità/invisibilità, il libro Sposa del mare colpisce per la sua copertina e per la presenza di una Nota d’artista al suo interno. Cosa mi dici dell’identità grafica della collana?
La collana ORIZZONTI è stata pensata fin da subito come un progetto editoriale di alto livello. Non nel senso di “inaccessibile” – sono convinta che la cultura debba essere accessibile a tutti – piuttosto come un prodotto editoriale che ha l’ambizione di trasmettere il valore del libro in ogni dettaglio. La copertina è un elemento essenziale dell’identità di ogni libro e, nel nostro caso, di tutta la della collana. Abbiamo voluto affidare ad una artista milanese questo prezioso spazio di visibilità chiedendole di interpretare secondo la sua sensibilità le storie contenute nei romanzi della collana ORIZZONTI. Così è nata la copertina di Sposa del mare, da un dipinto ad olio di Claudia Notargiacomo, pittrice e caporedattrice della rivista MondoArte. E ognuno dei prossimi libri della collana (speriamo di poterne fare molti) avrà in copertina un dipinto su commissione della stessa artista. Questo, a nostro avviso, è un importante gesto estetico ma anche simbolico: perché sono opere artigianali, come la nostra traduzione, e in un momento come questo, in cui c’è la corsa alle copertine A.I., coinvolgere e retribuire un’artista per il proprio contributo diventa quasi un atto politico.